La strada stretta dell’ex premier e la partita dell’azienda di famiglia

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La rottura dell’accordo con Renzi va inquadrata oltre il recinto della politica. Gli amici: ha fatto più questo governo per le tue aziende che i tuoi ministri
ROMA Berlusconi non ha rotto il patto del Nazareno, ha rotto lo specchio che avrebbe dovuto magicamente trasformare la proiezione dei suoi desideri in realtà. È la fine di un incantesimo di cui Renzi si è servito prima di porre il suo «alleato di opposizione» dinnanzi al bivio del prendere o lasciare. E se è vero che agli occhi del leader di Forza Italia il premier ha assunto le sembianze di «una iena», è altrettanto vero che nell’ultimo lunedì di Arcore – quello dedicato ai figli e agli amici di una vita – c’è stato chi ha ricordato al padrone di casa come, «nonostante tutto, questo governo in un anno ha fatto per le nostre aziende molto più che i tuoi ministri in dieci anni».
Eppoi certo, l’opinione comune a quel desco era che – per quanto bravo e sveglio – di Renzi non ci si dovesse fidare ciecamente, sebbene il moto istintivo che appartiene a Marina Berlusconi non fosse un consiglio, tantomeno una critica rivolta al genitore, che invece in Renzi credeva e a Renzi credeva. Semmai è stato un gesto solidale in vista della decisione: «Fai la cosa giusta». E il padre, che si è sentito tradito, ha mandato in frantumi lo specchio, destandosi da un sogno che era a sua volta il sequel di un altro sogno.
Ma davvero era solo un sogno? Perché in tal caso la rottura tra il premier e l’ex premier andrebbe confinata nel recinto della politica, alla partita sul Quirinale: «E il patto – dice Berlusconi – è che non si sarebbe proceduto oltre se io non fossi stato d’accordo sulla scelta». Non c’è dubbio che abbia commesso degli errori nella trattativa, come sostiene Gianni Letta, secondo cui «non ci si siede al tavolo con un solo nome». Però alla vigilia del voto in Senato sulla legge elettorale – quando Renzi aveva estremo bisogno di Forza Italia – la vicesegretaria del Pd Serracchiani disse in un’intervista radiofonica che «il prossimo presidente della Repubblica lo voteremo insieme a Berlusconi».
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Le cose sono andate diversamente, anche se l’ex premier è convinto che Renzi abbia fatto male i conti con il successore di Napolitano, «perché lui pensa di trarne vantaggio, ma non sarà così. Mattarella è un cattolico integralista e alla lunga questa scelta gli si ritorcerà contro». Si vedrà, e comunque sono valutazioni che stanno ancora tutte dentro il perimetro della politica. Il punto è se c’era e c’è dell’altro, oltre l’intesa sulle riforme costituzionali e l’Italicum. Bisognerebbe forse seguire le tracce lasciate dall’avvocato-onorevole Ghedini negli ultimi tempi per verificare se quello di Berlusconi era davvero solo un sogno.
È un percorso punteggiato da indizi lasciati sul sentiero: senza andar dietro i boatos sulle modifiche alla legge Severino e sulla prescrizione, andrebbe capito come mai – a ridosso della sfida per il Colle – è stato perso del tempo per raccontare all’ex premier la storia del comandante partigiano comunista Moranino, scappato in Cecoslovacchia dopo una condanna per omicidio plurimo aggravato ai tempi della Resistenza, e graziato da Saragat appena salito al Quirinale. Ecco lo specchio dove Berlusconi vedeva i suoi desideri prender corpo. Era solo un incantesimo? Perché è stato Renzi a tracciare il solco del decreto fiscale, ed è andata la Boschi in tv a difenderlo. Perché il premier l’altra sera a «Porta a Porta» ha accennato all’affaire Telecom-Mediaset dopo aver detto che «sulle riforme non mi faccio ricattare da Berlusconi».
Nonostante questi segnali, il cristallo si è ugualmente rotto. E appena ieri se n’è sentito il frastuono, nel dibattito politico si è inserito un sottosegretario di solito silenzioso come il democratico Giacomelli, che nel governo ha una delega particolare, l’emittenza: «Sono dispiaciuto che si possa interrompere un clima positivo». Confalonieri conosce Giacomelli, una volta lo descrisse come «un politico pragmatico e lontano dai furori ideologici», e si disse perciò convinto della bontà della linea del governo, «improntata alla difesa delle aziende italiane, che sono un patrimonio nazionale».
Quando i suoi collaboratori gli hanno consegnato quel dispaccio di agenzia, il patron del Biscione si è chiesto se la dichiarazione fosse una casualità o un avvertimento, che ribalterebbe l’accusa sul conflitto d’interessi per venti anni addebitata a Berlusconi. «Lasciamo che la polvere si posi», si è limitato a dire, senza far capire quale risposta si fosse dato. Perché, se lo specchio si è rotto, in qualche modo il patto può ancora essere politicamente reincollato.
È Berlusconi che dovrà decidere, dopo aver urlato l’altra sera in faccia a Verdini la sua rabbia: «Mi hai portato in un vicolo cieco». No, lo portò al Nazareno, dove Renzi prima lo adulò, «qui sono circondato da milanisti», poi lo dileggiò alle spalle: «Voleva Amato, allora mi son fatto vedere con Cantone e si è messo paura che lo volessi davvero candidare al Quirinale». Un anno dopo a Berlusconi è chiaro che quel patto non era la sua «legittimazione». Era una gabbia da cui ora è difficile uscire. Infatti ha rotto lo specchio, non il patto.

trattoda www. corriere.it

Mediaset, liberazione anticipata per Berlusconi

Berlusconi, Alfano to agree president candidates

45 giorni in meno di affidamento ai servizi sociali
Il giudice di Sorveglianza di Milano Beatrice Crosti ha concesso la liberazione anticipata di 45 giorni a Silvio Berlusconi nell’ambito dell’affidamento in prova ai servizi sociali di un anno che sta scontando per via della condanna definitiva per il caso Mediaset. Da quanto è stato riferito è stata accolta l’istanza del leader di FI.

Il fine pena per Silvio Berlusconi, secondo i calcoli, dovrebbe essere l’8 marzo. Il leader di Forza Italia infatti avrebbe dovuto concludere l’affidamento in prova ai servizi sociali, con tanto di attività di volontariato nel centro di anziani alle porte di Milano, il prossimo 23 aprile. E detraendo da questa data i 45 giorni di liberazione anticipata concessa, finirà il suo iter il prossimo 8 marzo.

Il provvedimento con cui il giudice Crosti ha accolto la richiesta presentata il 7 gennaio da Berlusconi, è stato depositato questa mattina. Ora l’ufficio esecuzione della procura, che aveva dato parere negativo alla richiesta, deve notificare un nuovo atto con cui si comunica al leader di FI che, per via della liberazione anticipata, il fine pena secondo il ricalcolo sarà il prossimo 8 marzo. Poi il Tribunale di sorveglianza fisserà un’udienza per dichiarare l’estinzione della pena.

Dopo l’episodio di Napoli, in cui chiamato a testimoniare al processo a carico di Lavitola aveva attaccato ancora una volta i giudici, Silvio Berlusconi si è sempre comportato in modo corretto. E’ questo in sintesi il parere del giudice della Sorveglianza di Milano Beatrice Crosti che oggi ha concesso la liberazione anticipata all’ex premier. Il provvedimento, per il quale il leader di Forza Italia finirà di espiare la pena il prossimo 8 marzo, si basa anche sulle relazioni positive dei servizi sociali e dei carabinieri.

L’estinzione della pena per Silvio Berlusconi, prevista per l’8 marzo, non cancellerà gli effetti della legge Severino e quindi il leader di Forza Italia rimarrà incandidabile per sei anni e cioè fino al novembre 2019. E’ quanto spiegano in ambienti giudiziari precisando però che il leader di Forza Italia – il quale si è rivolto alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo lamentando una presunta illegittimità della sentenza Mediaset – può sempre giocare la carta della “riabilitazione”, prevista dalla stessa legge Severino, che, se concessa, può consentirgli di anticipare di circa un anno il suo rientro in politica.
Tratto da www. ansa.it