“Massimo Di Cataldo non picchiò la compagna”: il cantante scagionato

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Il pm ha smontato la veridicità delle immagini delle percosse di Anna Laura Millacci: forse erano false, chiesta l’archiviazione
La fine di un incubo. E la rabbia. Tanta. Massimo Di Cataldo è stato scagionato dalle accuse di maltrattamenti che gli aveva mosso l’ex compagna Anna Laura Millacci, la quale aveva pubblicato su Facebook alcune foto con il volto tumefatto a causa delle percosse che lei sosteneva di aver subìto dal cantautore. Al quale rinfacciava anche di averle provocato un aborto, accusa da cui Di Cataldo era già stato prosciolto. Adesso svanisce anche l’accusa di maltrattamenti perché la Procura non avrebbe trovato compatibilità tra le tracce del sangue sul volto della Millacci e le percosse descritte. Inevitabile, quindi, la richiesta di archiviazione.
Tratto da www. tgcom24.mediaset.it

Ilva, dichiarato lo stato d’insolvenza

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La decisione del tribunale fallimentare di Milano. Per i giudici, l’azienda ha un indebitamento di quasi 3 miliardi di euro

16:11 – Il tribunale fallimentare di Milano ha dichiarato lo stato di insolvenza dell’Ilva di Taranto, nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria. Come giudice delegato per la procedura stessa è stata nominata Caterina Macchi. Si apre quindi il capitolo finale per la tormentata azienda siderurgica, ormai destinata al fallimento.
Indebitamento di quasi 3 miliardi – L’azienda “presenta un indebitamento complessivo pari a 2.913.282.000 euro”, scrivono i giudici nella sentenza.

Mancano materie prime, stop alcuni impianti – Intanto a rendere ancora più complicata una situazione non facile, è arrivato l’annuncio dell’Ilva ai sindacati metalmeccanici di fermare alcuni impianti a causa del mancato rifornimento delle materie prime provocato anche dalla protesta degli autotrasportatori. “L’azienda – dice Vincenzo Castronuovo della Fim Cisl di Taranto – ha precisato che la situazione potrebbe cambiare in caso di ripartenza degli approvvigionamenti”.

Tratto da www. tgcom24.mediaset.it

Elena Ceste, Gip: “Movente è l’odio” “Per il marito era da raddrizzare”

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Michele Buoninconti, secondo il giudice, riteneva che la moglie fosse una “madre inadeguata”, nonché “una donna infedele e inaffidabile”. Emerge poi che sarebbe stata uccisa per asfissia sul letto coniugale
Il movente dell’omicidio di Elena Ceste da parte del marito “va ricercato nell’odio maturato nel tempo”. Lo scrive il Gip Giacomo Marson, del tribunale di Asti, nell’ordinanza di custodia cautelare per Michele Buoninconti. L’uomo, secondo il giudice, riteneva che Elena “fosse una moglie e una madre inadeguata”, nonché “una donna infedele e inaffidabile, dedita a coltivare rapporti virtuali con il computer e, quindi, da raddrizzare”.
“Indizi contro il marito numerosi e pregnanti” – “Tutti gli elementi raccolti nel corso delle indagini” indicano “Michele Boninconti come l’autore delle gravissime condotte che gli vengono attribuite”, aggiunge il Gip sottolineando che ciò emerge “in maniera dirompente”. Ma non solo: gli indizi nei confronti dell’uomo, scrive ancora il Gip “non sono soltanto numerosi, ma anche particolarmente pregnanti”.

“Ha messo in piedi un castello di menzogne” – Michele Boninconti ha messo in piedi un “castello di menzogne” e ha posto in essere “vani tentativi di depistaggio” per allontanare da se il sospetto di aver ucciso la moglie, aggiunge il Gip di Torino sottolineando che “la condotta dell’indagato dimostra che la scomparsa ed il successivo ritrovamento del cadavere non sono stati il frutto di accadimenti accidentali né di scelte estreme volontariamente intraprese” dalla donna, “ma sono ascrivibili ad un evento del tutto estraneo alla sua sfera di dominio”.

“Ha condizionato i figli per depistare le indagini” – Inoltre Michele Buoninconti si è comportato in modo da “condizionare i propri figli” per depistare le indagini “offrendo un modello familiare diverso dal reale”. Il giudice parla di “metodo sottilmente intimidatorio”.

“Elena Ceste uccisa per asfissia su letto coniugale” – Secondo il Gip, la donna è stata uccisa nel letto coniugale, “sorpresa e assassinata dal marito” dopo essersi occupata “della propria igiene personale” e prima ancora di potersi rivestire. Il giudice ritiene che l’omicidio sia “ragionevolmente avvenuto per asfissia”.

“Corpo denudato e poi gettato nel fiume” – Subito dopo esser stata uccisa Elena Ceste fu “denudata” e gettata nel Rio Mersa. “Il mancato rinvenimento di brandelli di tessuto, bottoni, fibbie – afferma il giudice alla luce delle perizie effettuate – evidenzia che la persona offesa non poteva indossare alcun tipo di abito nel momento in cui il suo corpo è stato immerso nel rigagnolo”. Inoltre, prosegue, al momento dell’allontanamento “la vittima non portava certamente gli occhiali, che sono stati rinvenuti nella medesima abitazione e che pure le erano indispensabili in quanto presentava un rilevante deficit visivo”.
Tratto da www. tgcom24.mediaset.it

Yara, il perito: “Il Dna del killer non coincide con quello di Bossetti”

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E’ quanto emerge dalla relazione del consulente della Procura Previderè
La notizia aprirebbe nuovi scenari nell’inchiesta sull’omicidio della giovane, avvenuto il 26 novembre del 2010 a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo. Anche perché questo esame, inoltre, non sarebbe ripetibile.

Sebbene vi sia una corrispondenza chiara riguardo il Dna cellulare, lo stesso non si può quindi dire per il Dna mitocondriale. Un colpo alla tesi colpevolista, tanto che gli avvocati di Bossetti starebbero preparando una nuova istanza di scarcerazione in attesa della prossima udienza, in programma in Cassazione il prossimo 25 febbraio.

La precedente istanza fu rigettata dal Tribunale del Riesame di Brescia proprio per la presenza del Dna dell’imputato sul luogo del ritrovamente del corpo di Yara.

La difesa: “Scarcerare Bossetti” – “Bossetti dovrebbe essere subito scarcerato”. E’ quanto dichiara il difensore dell’uomo, Claudio Salvagni, dopo le ultime perizie.
Tratto da www. tgcom24.mediaset.it

Picchia suore per soldi offerte

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Napoli, 57enne arrestato per estorsione
Da circa due mesi minacciava e malmenava le suore di un santuario di Napoli per constringerle a consegnargli i soldi delle offerte. Vincenzo Stanzione, 57 anni, è stato arrestato dai carabinieri con l’accusa di estorsione. Secondo quanto ricostruito dai militari, l’uomo ogni due giorni si presentava al santuario per impossessarsi del denaro lasciato dai fedeli.

Tratto da www. tgcom24.mediaset.it

Far west nel Vercellese, assaltano caveau poi scappano sparando ai carabinieri

Assalto con ruspa
Colpo all’istituto Fidelitas di Quinto Vercellese. I banditi, per coprire la fuga, hanno dato fuoco ad almeno cinque automobili
Un commando di una decina di banditi, che aveva tentato senza successo di assaltare il caveau dell’istituto di vigilanza Fidelitas di Quinto Vercellese con una ruspa, ha ingaggiato una sparatoria con i carabinieri intervenuti sul posto. Dopo lo scontro a fuoco, i malviventi hanno dato fuoco ad alcune auto, almeno cinque, per coprirsi la fuga e sono riusciti a far perdere le tracce.
A dare l’allarme ai militari dell’Arma sarebbe stato un vigilante dell’istituto stesso. I malviventi si sono presentati con un camion, dal quale hanno scaricato la ruspa con cui hanno tentato di demolire il muro di cinta e raggiungere il caveau, dove è custodita un’ingente somma di denaro.

Incendiate almeno 5 auto – Sono almeno cinque le auto incendiate nella notte dai banditi. Si tratta di auto posizionate apposta dai malviventi per evitare di essere seguiti e non di vetture parcheggiate. Con questo stratagemma la banda ha bloccato tutte le strade di accesso al paese: quelle per Villata, Collobiana, Olcenengo e Biandrate.

Sbagliato il lato, niente bottino – L’assalto è fallito, e dunque non è stato prelevato nulla, perché la banda ha sbagliato il lato dell’edificio in cui si trova il caveau.
Tratto da www. tgcom24.mediaset.it

Madre surrogata, da Strasburgo condanna all’Italia

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Tolto ingiustamente un bambino a una coppia: anche senza legame biologico è comunque loro figlio
L’Italia ha violato il diritto di una coppia sposata a poter riconoscere come proprio figlio un bambino senza nessun legame biologico con i due, nato in Russia da una madre surrogata: a stabilirlo è la Corte dei diritti umani di Strasburgo. Il nostro Paese è stato condannato per non aver dimostrato che l’allontanamento del bambino dalla coppia era necessario.
La decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo riguarda il ricorso presentato a Strasburgo nel 2012 da una coppia di Colletorto (provincia di Campobasso), che dopo aver tentato la fertilizzazione in vitro con i propri gameti in Italia, decidono di andare in Russia per ricorrere alla maternita’ sostitutiva, dove la pratica e’ legale. Nel marzo 2011 nasce un bimbo riconosciuto dalle autorita’ russe e iscritto all’anagrafe di Mosca come figlio legittimo della coppia.

Tornati a casa, i coniugi chiedono la trascrizione dell’atto di nascita del piccolo nell’anagrafe italiana, ma nell’agosto 2011 viene rifiutata. Le autorità ritengono che il certificato di nascita russo contenga informazioni false sulla vera identità dei genitori del piccolo. In seguito con varie decisioni i tribunali italiani, avendo anche eseguito un test del Dna da cui non risulta alcun legame biologico tra padre e figlio, dichiarano il piccolo in stato d’abbandono e lo affidano ad una famiglia d’accoglienza, e stabiliscono che la coppia di Colletorto non deve avere più alcun contatto col bambino, e che non possono adottarlo.

La Corte di Strasburgo dichiara che la sentenza sulla coppia italiana, e la violazione del loro diritto al rispetto della vita familiare e privata, non riguarda la questione delle madri surrogate ma la decisione dei tribunali italiani di allontanare il bambino e affidarlo ai servizi sociali.

La Corte evidenzia tuttavia che la violazione subita dai coniugi “non deve essere intesa come un obbligo dello Stato italiano a restituire il bambino alla coppia”. Questo perche’ “il piccolo ha indubbiamente sviluppato dei legami emotivi con la famiglia d’accoglienza con cui vive dal 2013”. L’unico obbligo per l’Italia è di pagare alla coppia 20mila euro per danni morali e 10mila euro per le spese processuali sostenute.

Tratto da www. tgcom24.mediaset.it

Pavia, 55enne segregata in casa e denutrita: fermato il convivente

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 Laura Carla Lodola è stata trovata dai volontari della Croce rossa in condizioni disperate. Si trova in fin di vita in ospedale

Segregata in casa dal convivente e tenuta in uno stato di denutrizione, una 55enne è stata salvata dalla polizia a Pavia. La donna, del peso ormai di poco superiore ai 15 chili, è stata ricoverata in ospedale ma, secondo quanto riporta il quotidiano “la Provincia pavese”, è in fin di vita. E’ stato proprio il convivente della donna a chiamare il 118 chiedendo soccorso: l’uomo è stato arrestato con l’accusa di abbandono di incapace.
La vicenda è iniziata ieri mattina verso le sei meno un quarto quando Antonio Calandrini, 60 anni, ha chiesto l’intervento di un’ambulanza perché la sua convivente, Laura Carla Lodola, 55 anni, era priva di conoscenza e non si muoveva. I volontari della Croce Rossa accorsi sul posto si sono trovati davanti a una scena raccapricciante.

La donna era ridotta a uno scheletro, coperta di piaghe da decubito e costretta a letto forse da anni, in condizioni igieniche disastrose e con un’alimentazione pressoché inesistente. “Sembrava una piccola mummia rattrappita”, spiega un’operatore sanitario. I paramedici l’hanno caricata sull’ambulanza e trasportata al pronto soccorso dove il personale medico si è immediatamente reso conto che le condizioni della donna erano disperate. La 55enne si trovava in fin di vita.

L’appartamento è stato sequestrato dalla magistratura e gli investigatori della squadra mobile hanno interrogato per ore il convivente Antonio Calandrini. L’obiettivo degli inquirenti è capire se l’uomo abbia costretto la compagna a vivere in quelle condizioni al limite della sopravvivenza.

Tratto da www. tgcom24.mediaset.it

Tripoli, terroristi dell’Isis assaltano hotel: otto i morti di cui cinque stranieri

 

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Quando il commando, probabilmente composto da 4 persone, si è reso conto di non avere più scampo, si è fatto esplodere
Uomini armati hanno ucciso 3 guardie di sicurezza libiche e 5 stranieri all’hotel Corinthia di Tripoli. Un tweet diffuso da un gruppo affiliato all’Isis comunica che l’obiettivo erano “diplomatici esteri”. I terroristi avrebbero in un primo momento sequestrato alcuni ostaggi, poi liberati. Tutti gli italiani ospiti dell’albergo sarebbero illesi. I terroristi, probabilmente 4, dopo essersi resi conto di non avere più scampo, si sono fatti esplodere.
Il premier del governo parallelo libico obiettivo dell’attacco- L’Hotel Corinthia ospita il premier del governo parallelo libico autoproclamatosi a Tripoli, Omar Al Hassi. E secondo fonti maltesi, sarebbe stato proprio il premier l’obiettivo del commando che, dopo aver fatto esplodere un’autobomba nel parcheggio, è entrato sparando nella lobby dell’albergo. Hassi però è riuscito a sfuggire all’agguato, scappando dal retro dell’hotel.

Mogherini: riprovevole atto terrorismo – “L’attacco all’hotel Corinthia è un altro atto riprovevole di terrorismo che porta un duro colpo agli sforzi per portare pace e stabilità in Libia”. Questo il commento a caldo dell’Alto rappresentante Ue Federica Mogherini. “L’Ue esprime solidarietà alle vittime e alle loro famiglie – prosegue – e sostiene fermamente gli sforzi dell’Onu per portare una soluzione politica basata sul rispetto e sul dialogo. Non si deve permettere a tali attacchi di minare il processo politico”.

Gentiloni:”Tentativo di boicottare negoziati” – “L’attentato all’hotel di Tripoli è un tentativo di boicottare, danneggiare e influenzare negativamente gli sforzi in corso a Ginevra per riconciliare le parti in conflitto in Libia”. Così il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, a Rabat: si tratta di “un ulteriore sintomo della pericolosità della situazione nella regione”.

La Farnesina e i servizi di intelligence “stanno monitorando in queste ore le condizioni di sicurezza a Tripoli”, ha quindi spiegato Gentiloni, a proposito dell’ambasciata italiana nella capitale libica. “Teniamo costantemente la situazione sotto controllo”, ha aggiunto.

Tratto da www. tgcom24.mediaset.it

Papa Francesco nelle Filippine: “Non si uccide in nome di Dio, ma non ridicolizzare fede”

Pope Francis visits Philippines

Bergoglio saluta lo Sri Lanka e sbarca a Manila. “Preoccupato per incolumità fedeli”
Non si uccide in nome di Dio ma non si ridicolizza la fede altui. E’ il messaggio del Papa che, dall’aereo che lo sta portando dallo Sri Lanka alle Filippine, incalzato dai cronisti, torna a parlare del terrore dei giorni scorsi a Parigi. “Essere miti, umili non aggressivi” – è il messaggio del Papa – è “miglior modo per rispondere” a minacce di attentati. Il Papa è “preoccupato per l’incolumità dei fedeli”, per sé ha paura ma anche “una sana incoscienza” e ha paura del dolore fisico. “La libertà di religione” – ha detto ancora Francesco – è essenziale, e “non si uccide in nome di Dio”. La “libertà di espressione è un diritto, ma anche un dovere”. Neppure “si offende la religione”, ma in questo caso “non si reagisce con violenza”.

Libera espressione sì, “ma se il mio amico Gasbarri dice una parolaccia sulla mia mamma, si aspetti un pugno”. Così il Papa, in volo verso Manila, ha spiegato il “limite” alla libertà di espressione: la fede non sia ridicolizzata. Non si “giocattolizza la religione degli altri”.

Gli organizzatori hanno calcolato in due milioni le persone che hanno accolto il Papa al suo arrivo a Manila, sia in aeroporto che lungo le strade. Lo ha detto il portavoce padre Federico Lombardi.

“Forse è una mancanza di rispetto – ha risposto il Papa a una domanda sui kamikaze e sui bimbi usati come kamikaze – ma credo che in ogni attacco suicida c’è qualcosa di squilibrio mentale e umano, c’è qualcosa che non va nelle persone, nel senso che danno alla propria vita e a quella degli altri. Sì, il kamikaze dà la propria vita, ma non la dà bene, i missionari per esempio danno la propria vita ma per costruire, quando si dà la vita per distruggere c’è qualcosa che non va”.

Saluto allo Sri Lanka – “Dio benedica e protegga lo Sri Lanka”. Con questo tweet Papa Francesco ha salutato il Paese asiatico per proseguire il suo viaggio che lo ha visto sbarcare a Manila nelle Filippine. Una volta sceso dalla scaletta è stato il presidente del Paese, Aquino III, ad accoglierlo. All’aeroporto di Manila un’accoglienza calorosa con centinaia di giovani che cantano e ballano. Folla sterminata ad accogliere Francesco anche nelle zone subito fuori dall’aeroporto, inquadrate dalle immagini del Ctv, il Centro televisivo vaticano. Molti i sacerdoti e i vescovi, tra i quali l’arcivescovo di Manila, il cardinal Luis Antonio Tagle. Si sono salutati con un forte abbraccio e grandi sorrisi. Tira un forte vento e appena il Papa si è affacciato dal portellone dell’aereo è volata la papalina. Anche a Manila, come era già accaduto all’aeroporto di Colombo in Sri Lanka, due bambini hanno offerto al Papa un omaggio floreale, con fiori banchi e gialli, i colori del Vaticano.

Papa in Sri Lanka: nel cuore del conflitto etnico,”pace”
di Giovanna Chirri

Non è facile imparare a perdonare, e perdonarsi, dopo aver visto, subito o anche compiuto tanta violenza, come quella che per decenni ha opposto tamil e cingalesi. Prima condizione è non dimenticare il “sangue sparso”. Ma soprattutto bisogna lavorare per una “riconciliazione più grande, in cui il balsamo del perdono e della misericordia possa portare tutti alla guarigione”. Papa Francesco ha nuovamente indicato la strada della verità, dell’ammissione degli errori, e della reciproca riconciliazione come via per far passare lo Sri Lanka dalla assenza di guerra a una pace vera. Lo ha fatto nel santuario di Madhu, nella zona di Mannar, a nord del Paese, nelle province dove i tamil avevano cominciato a concentrarsi a partire dagli anni Sessanta. Lì dal 2007 al 2009 si è svolta la fase più cruenta del conflitto, con l’esercito governativo che ha annientato le “tigri”, ma ha poi militarizzato la regione, violando una serie di diritti umani dei civili, come documentano Ong, una commissione di inchiesta e vari rapporti dello Osservatorio internazionale sui diritti umani. Madhu è un luogo frequentato non solo da cristiani, e simbolico per questi ultimi giacché dalla sua origine ha assistito tra l’altro nel 1544 alla persecuzione anticristiana da parte del re di Jaffna, alla persecuzione, nel Sei-Settecento, dei calvinisti olandesi contro i cattolici e, da ultimo è stato, dal 1990 campo profughi per gli sfollati del conflitto, zona demilitarizzata ma comunque coinvolta in combattimenti furiosi. Nel santuario, riaperto al culto nel 2010, papa Francesco è giunto nel pomeriggio, in elicottero da Colombo, ed è stato accolto da una folla grande, capace di passare dalla festa alla preghiera, grazie al modo composto e sincero di accogliere l’ospite con danze e ghirlande di fiori, ai canti sacri. Anche dolenti e come pensosi, simili a quelli che la notte scorsa hanno accompagnato centinaia di migliaia di fedeli lungo il litorale dell’Oceano Indiano, per raggiungere il luogo della canonizzazione del primo santo di qui, Giuseppe Vaz.

A Madhu il compito di salutare papa Francesco è stato assolto da mons. Joseph Rayappu, il vescovo di Mannar che ha sempre difeso i diritti dei tamil e ha anche reso testimonianza davanti alla Commissione per la riconciliazione nazionale. I due giorni nell’ex Ceylon, – ieri con l’appello ai leader religiosi a non essere “equivoci” contro le violenze in nome di Dio, e oggi con la reiterazione dell’appello a “riconciliazione, giustizia e pace”, – sono quasi una scuola per l’uomo contemporaneo, chiunque egli chiami Dio, per costruire una vera fratellanza, che cambi la vita dei popoli e delle persone. Un modo di essere uomini, e perciò capaci di curare le ferite più purulente, che il Papa considera l’unico possibile per pacificare il mondo. Come al mattino, nella messa con più di cinquecentomila persone lungo l’oceano, anche nel pomeriggio nel piccolo santuario bianco su cui svettano le bandiere blu dello Sri Lanka, davanti a circa 300mila persone, il Papa oggi ha parlato attraverso la preghiera, – presenti un gruppo di famiglie sia tamil che cingalesi duramente provate dalle ostilità – tenendo anche in mano per diversi minuti la statuetta della Vergine di Madhu. Ciò non toglie che la sintonia provata nei confronti del neopresidente Sirisena – eletto a sorpresa anche dalle minoranze e da tutti gli srilankesi stanchi anche dei metodi arroganti del predecessore Rajapaksa e della incuranza di questi per i problemi di una vera pacificazione – possa sostenere anche la azione della Chiesa srilankese e della diplomazia del Papa, per questi obiettivi, che accomunano il piccolo e per molti lontano Sri Lanka ai grandi e ai piccoli di ogni angolo del pianeta. Papa Francesco neppure oggi ha rinunciato ai fuori programma, e ha visitato il monaco buddista Banagala Upatissa, che lo aveva invitato ieri, e ha incontrato i vescovi del Paese, ai quali ieri aveva cancellato un incontro conviviale.
Tratto da www. ansa.it